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LA CASTAGNA UN FRUTTO AL CENTRO DI UNA IMPORTANTE RIVALUTAZIONE ALIMENTARE E AMBIENTALE

Si è svolto in modalità online, mercoledì 17 novembre, il settimo e ultimo incontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato alla castagna. I relatori sono statiRenzo Panzacchi, Presidente Consorzio Castanicoltori Appennino Bolognese, il Prof. Marco Malaguti, Associato di Biochimica Università di Bologna, il Dott. Guido Mascioli, Delegazione Bologna A.I.C. e il Dott. Ercole Borasio, Accademico Ordinario A.N.A.Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola”, è tenuto una volta al mese da aprile a novembre al linkhttps://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIOe ha visto Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell'Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane.

Per secoli è stata l'alimento principale, in particolare delle popolazioni montane, tanto da chiamare il castagno “l'albero del pane”. Oggi la riscoperta della castanicoltura sta avendo effetti positivi sia per la tutela ambientale di numerose realtà territoriali, come ad esempio il Castagneto Didattico Sperimentale di Granaglione sull'Appennino bolognese al centro di numerose attività a cura di Fondazione Carisbo e Accademia Nazionale di Agricoltura, che in cucina dove la farina di castagna è sempre più apprezzata. Oggi l'Italia esporta marroni e castagne, anche DOP e IGP di grande qualità, ma la scarsa produzione nazionale (40.000 tonnellate annue) limita l'export e non soddisfa la domanda interna costringendo a importare dall'estero prodotti di minore qualità a un prezzo più alto. Il rilancio definitivo della castanicoltura nazionale favorirebbe la transizione ecologica di numerose realtà montane creando, al contempo, una nuova risorsa economica per il Paese.

L'Italia è stata a lungo il principale produttore mondiale di castagne e il primo paese esportatore al mondo, ma a partire dagli anni Cinquanta del Novecento l'abbandono progressivo delle aree montane ha portato a una forte decrescita della produzione castanicola passata dalle 556.970 tonnellate del 1928 alle 40.000 di oggi (dati Eurocastanea 2019). Oggi la produzione italiana è di ottima qualità, ma non sufficiente a coprire sia la domanda interna che quella esterna. Il nostro paese esporta castagne e marroni di grande qualità, anche DOP e IGP, per il consumo fresco, e importa castagne di qualità inferiore destinate in larga misura alla trasformazione (farine, quinta gamma, snack, ecc…) ma anche per il consumo del fresco presso la GDO. Nel complesso l'Italia esporta 13 mila tonnellate, a fronte di 23 mila tonnellate importate a un prezzo più alto, dati che fanno capire come sia necessario aumentare la produzione di castagne e marroni nazionali (dati Eurocastanea 2019). A livello mondiale il leader è la Cina che produce quasi 2 milioni di tonnellate l'anno, 4 volte rispetto a quello che produceva nel 2000, grazie a un preciso progetto di sviluppo che ha realizzato 1,9 milioni di ettari di nuovi castagneti da frutto in vent'anni, seguito dalla Turchia che produce 63.500 tonnellate annue e poi da Corea del Sud con 53.000 tonnellate (dati FAO 2019). Rispetto a un recente passato i produttori europei hanno subito pesanti riduzioni della produzione, tranne il Portogallo che ha saputo intercettare il fabbisogno degli altri paesi avendo avviato, dal 2010, un piano per creare 10.000 ettari di nuovi castagneti da frutto. I mercati europei chiedono in particolare prodotti “premium” di alta qualità, come quelli italiani, e negli ultimi anni un rinnovato interesse verso la castanicoltura è presente da parte di tutti gli attori della filiera nazionale (produttori, università, centri di studio e ricerca, istituzioni). Anche sotto il profilo normativo sono in discussione proposte di legge per far ripartire la castanicoltura, soprattutto quella tradizionale dell'Appennino, al fine di favorire sia la rinascita economica che la salvaguardia ambientale di aree boschive e montane fino ad oggi non debitamente valorizzate. Di seguito quanto emerso durante l'incontro.

Una presenza costante nell'alimentazione umana dall'età della pietra a oggi “Per comprenderne pienamente il valore non dobbiamo dimenticare che quella della castagna è stata una presenza costante nell'alimentazione della specie umana, dall'età della pietra e dall'uomo delle caverne, fino ai giorni nostri. Fenici ed Ebrei commerciavano le castagne in tutto il bacino del Mediterraneo, Greci e Romani ne hanno sempre fatto uso, e tal proposito possiamo ricordare lo storico e medico Senofonte che nel V secolo a.C. definì il castagno “l'albero del pane”. L'ampia diffusione del castagno ha esordito Renzo Panzacchi - nell'antica Roma e in certe aree dell'impero è testimoniata da numerosi autori romani, tra i quali Catone, Virgilio, Tito Livio, Ovidio, Plinio, Columella. Bisogna poi attendere Carlo Magno prima e Matilde di Canossa subito dopo, per assistere in Italia alla valorizzazione colturale del castagno. Una spinta che si esaurirà solamente alla metà del secolo scorso, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando iniziò il grande esodo dalla montagna verso le città. Per la castagna si trattò di una vera catastrofe con una enorme riduzione delle superfici coltivate e della produzione, in un arco temporale molto breve. Poi, a partire dalla fine del secolo scorso, è iniziata una timida inversione di tendenza, che a poco a poco continua a prendere vigore e che consente di guardare al futuro con un motivato ottimismo”.

Fonte di potassio, fosforo e basso contenuto di sodio Dal punto di vista strettamente nutrizionale, castagne e marroni non presentano aspetti che possano farli classificare come alimenti di altissimo valore ma possiedono, alcuni aspetti da sottolineare. Le castagne – ha proseguito il Prof. Marco Malaguti - forniscono energia principalmente attraverso il loro contenuto di carboidrati, prevalentemente di tipo complesso, amido. Tale amido è a sua volta composto per i 2/3 da amilopectina, più ramificata e digeribile, e per 1/3 da amilosio, lineare e meno digeribile. La digeribilità dell'amido è fortemente influenzata dalla tecnica di cottura impiegata, castagne arrostite presentano una quota di amido resistente con proprietà prebiotiche superiore alle stesse castagne preparate con modalità differenti. Il contenuto di lipidi è inferiore ai 2g/100g peso fresco, il che rende castagne e marroni un alimento decisamente magro. Per quanto riguarda la composizione lipidica essa è prevalentemente rappresentata da acidi grassi polinsaturi e contiene anche una quota interessante di fitosteroli. La componente proteica è modesta (circa 3g/100g peso fresco), le proteine hanno un profilo amminoacidico completo, il che determina un indice chimico superiore a quello di molti altri alimenti vegetali. La composizione della parte edibile della castagna comprende poi un quantitativo molto significativo di fibra insolubile. Per quanto riguarda invece il contenuto in micronutrienti, spiccano il contenuto di potassio e fosforo, mentre l'alimento si caratterizza per un contenuto di sodio decisamente molto modesto”.

I prodotti di scarto sono la vera ricchezza nutraceutica della castagna “Oggi possiamo dire che la vera ricchezza del castagno risiede nei prodotti di scarto della lavorazione: foglie, corteccia, cupole spinose, gusci e tegumento interno sono un concentrato di composti bioattivi. Ciò che un tempo era materia di scarto oggi si presenta quindi come la vera ricchezza di questa pianta. Gli studi più recenti – ha continuato il Prof. Marco Malaguti - in cui il nostro laboratorio è stato coinvolto, hanno avuto come oggetto di indagine proprio le caratteristiche nutraceutiche di estratti di corteccia, di foglie e cupole spinose che si sono dimostrati possedere spiccate proprietà antiossidanti e antinfiammatorie in modelli cellulari di cellule muscolari cardiache e microglia”.

Oggi la castagna ha il suo giusto riconoscimento in tavola “La castagna ha nutrito generazioni, specie sulle nostre colline, tanto che il castagno è stato definito l'albero della vita. Di esso nulla veniva gettato: legna, frutti, foglie, tutto serviva, in casa, nell'industria e sulla tavola. Oggi – ha affermato il Dott. Guido Mascioli - l'umile castagna ha avuto il suo giusto riconoscimento quale frutto prelibato e base di dolci sopraffini, assurgendo tra i simboli principali dell'autunno in tavola”.

Le attività del Castagneto Sperimentale Didattico di Granaglione “Il Castagneto Sperimentale Didattico di Granaglione nasce nel 2003 per iniziativa della Fondazione Carisbo, che ne ha la proprietà, nell'ambito del “Progetto Appennino” che prevede il recupero e la valorizzazione della castanicoltura locale. La superficie è di 10 ettari e al suo interno sono presenti un essicatoio tradizionale per la produzione di farina di castagne, un'aula didattica e un mulino da castagne. Dal 2018 – ha concluso il Dott. Ercole Borasio - la gestione tecnico-scientifica del castagneto è stata affidata all'Accademia Nazionale di Agricoltura e i progetti di valorizzazione del parco avviati sono molti dalla produzione castanicola da frutto, a quella da legno, fino all'innovativo progetto “Castagni parlanti” che studia, mediante apposizione di sofisticati sensori su 48 alberi, il sequestro di carbonio da parte dei castagni del parco. Oggi il castagneto è inserito all'interno della “Corona di Matilde”, in territorio Alto Reno Terme, primo Paesaggio Rurale di Interesse Storico dell'Appennino bolognese riconosciuto dal MIPAAF, e puntiamo ora al riconoscimento ministeriale della sua qualifica a “Centro nazionale per lo studio e la conservazione della biodiversità forestale”.

Al canale Youtube dell'Accademia sono disponibili i video dell'incontro: 1.https://www.youtube.com/watch?v=qbhksF5YcvQ​(primi tre interventi) 2.https://www.youtube.com/watch?v=1G5f1CDzo34(case history "Il castagneto sperimentale didattico di Granaglione")

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I LEGUMI UNA COLTIVAZIONE A IMPATTO ZERO OTTIMA PER AMBIENTE E SALUTE

Si è svolto in modalità online, mercoledì 20 ottobre, il sesto incontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato ai legumi. I relatori dell'incontro sono stati il Prof. Paolo Parisini, già Associato di Produzioni Animali Università di bologna e imprenditore agricolo, la Prof.ssa Cristina Angeloni, Associato di Biochimica Università di Camerino, il Dott. Maurizio Campiverdi, Delegato Onorario Bologna San Luca A.I.C. e il Dott. Paolo Ranalli, già Direttore Dipartimento Trasformazione e Valorizzazione Prodotti Agroindustriali CREA. Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola”, che si tengono una volta al mese da aprile a novembre al link https://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIO vede Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell'Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane. Di seguito quanto emerso durante l'incontro.

La produzione mondiale è di 81,8 mln di ettari, auspicabile un suo aumento in Italia “A livello mondiale, le colture di leguminose occupano 81,8 milioni di ettari con una produzione globale di 74,7 milioni di tonnellate e una produttività media di 913 kg/ha. I fagioli secchi contribuiscono per il 34% alla produzione globale di legumi, seguiti da ceci (18%), piselli (14%), fagiolo dall'occhio (7%), lenticchie (6%) e fave (5%). I legumi – ha esordito il Prof. Paolo Parisini - sono l'alimento base della dieta di diverse popolazioni nel mondo, soprattutto per il loro alto valore nutritivo e il basso costo e forniscono nutrienti essenziali, tra cui proteine, carboidrati a basso indice glicemico, fibre alimentari, minerali e vitamine. Non tutti sanno che l'elevato contenuto di proteine è legato alla loro peculiare capacità di fissare l'azoto dall'atmosfera attraverso l'azione di batteri simbionti del genere Rhizobium che vivono sulle loro radici. In Italia è auspicabile un netto aumento delle superfici e delle rese ettariali per soddisfare l'aumento dei fabbisogni e per sfruttare i molteplici fattori positivi quali, la capacità azoto fissatrice, l'apporto elevato di proteina, la possibilità, per alcuni legumi, di essere coltivati in terreni poveri e non irrigabili e permettere la rotazione nella coltivazione di cereali senza ricorrere a massive quantità di concimi”.

Migliorano salute del colon, sensibilità all'insulina e diminuiscono i rischi cardiaci “I legumi sono ricchi di vitamine del gruppo B e di minerali quali ferro, zinco, calcio, magnesio, selenio, fosforo, rame e potassio, mentre sono poveri di vitamine liposolubili e possiedono elevati quantitativi di carboidrati a basso indice glicemico, amido resistente, oligosaccaridi e fibra. Questi passano non digeriti attraverso lo stomaco e l'intestino tenue fino a quando raggiungono il colon, dove agiscono come “prebiotici”, un vero e proprio alimento per i batteri “probiotici” che qui risiedono. La fermentazione – ha proseguito la Prof.ssa Cristina Gentiloni - di questi composti da parte del microbiota intestinale porta alla formazione di acidi grassi a catena corta, come il butirrato, che può migliorare la salute del colon e ridurre il rischio di cancro al colon. La fibra ha anche un'azione saziante che può aiutare a ridurre l'assunzione di alimenti e può aiutare a regolare la glicemia dopo i pasti e migliorare la sensibilità all'insulina. Diversi studi hanno evidenziato un'associazione tra un elevato consumo di legumi e un minor rischio di soffrire di patologie cardiovascolari ed è stato suggerito che l'assunzione di 150 g/giorno di legumi cotti nella dieta sia associata a una minore mortalità nella popolazione. Nei paesi dell'America Latina dove l'assunzione giornaliera di legumi è più alta, più di 86 g/giorno, numerosi studi medici hanno evidenziato un rischio inferiore del 38% di infarto del miocardico”.

Ammollo, bollitura, fermentazione aumentano i nutrienti e il sapore dei legumi “Il consumo di legumi contrasta l'iperlipidemia ed è stato riportato che i composti fenolici dei legumi esercitano attività antinfiammatorie e antiossidanti. Le proteine dei legumi risultano però incomplete, tranne la soia, a causa del contenuto relativamente basso di aminoacidi essenziali contenenti zolfo, per questa ragione i legumi dovrebbero essere assunti insieme a buone fonti di aminoacidi solforati come, per esempio, i cereali. I legumi – ha continuato la Prof.ssa Cristina Angeloni - pur essendo ricchi di nutrienti, hanno una bassa densità energetica grazie ad un ridotto contenuto di lipidi ad eccezione di soia e arachidi, che presentano livelli significativi di acidi grassi mono e polinsaturi. In generale, i lipidi sono una buona fonte di acidi grassi essenziali quali acido linoleico (21%-53%) e alfa-linolenico (4%-22%), tuttavia, la qualità nutrizionale dei legumi può essere compromessa dalla presenza di fattori anti-nutrizionali. Tra i fattori anti-nutrizionali vi sono inibitori enzimatici, lectine, fitati, acidi fenolici, flavonoidi e amminoacidi tossici. Si tratta di sostanze fitochimiche che riducono la digestione e l'assorbimento dei nutrienti o interferiscono con la loro azione. Tecniche tradizionali di preparazione degli alimenti come l'ammollo, la bollitura, la germinazione e la fermentazione non migliorano solo il sapore e l'appetibilità dei legumi ma anche aumentano la biodisponibilità dei nutrienti, degradando o allontanando i suddetti fattori anti-nutrizionali”.

Necessità di aggiornamenti e innovazioni per rilanciare le leguminose in Italia “La prerogativa delle leguminose di fissare nel suolo l'azoto dell'aria attraverso la simbiosi radicale con batteri del genere Rhizobium, un ettaro coltivato a fava può fissare fino a 200 kg di azoto, affranca l'agricoltore dal ricorso ai concimi azotati ottenuti per sintesi chimica e abbatte l'immissione di CO2 nell'atmosfera. Oggi – ha concluso il Dott. Paolo Ranalli - si prende atto della marginalità piuttosto esigua di queste piante in tutti i contesti colturali e, in prospettiva, il rilancio delle leguminose nell'agricoltura italiana può sicuramente giovarsi dei sussidi erogati dalla UE, attraverso la PAC. Gli input più significativi devono però venire dallo sviluppo di nuove cultivar resistenti a stress biotici e abiotici, resilienti e più adatte alle nuove condizioni colturali provocate dai cambiamenti climatici. Per avere successo, tali azioni devono essere supportate da un aggiornamento puntuale delle innovazioni che la ricerca e la sperimentazione mettono a punto e a oggi, purtroppo, non ci sono compendi monografici su queste piante”.Al canale Youtube dell'Accademia è disponibile il video dell'incontro:https://www.youtube.com/watch?v=O2VtSd-u5bo&t=541s(l'immagine in copertina è tratta da Fondazione Barilla)

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INAUGURATO IL 214° ANNO ACCADEMICO

Si è svolta nel pomeriggio di ieri lunedì 11 ottobre, presso la Sala dello Stabat Mater del Palazzo dell'Archiginnasio di Bologna, la cerimonia d'inaugurazione del 214° Anno Accademico dell'Accademia Nazionale di Agricoltura. La cerimonia è stata aperta dal Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente dell'Accademia Nazionale di Agricoltura, con la Relazione “Il ruolo dell'Agricoltura nell'era della globalizzazione: alcune riflessioni”.

L'agricoltura è vittima da anni di gravi speculazioni internazionali ed oggi è di moda indicarla come principale colpevole del destino infausto della Terra ma, ad esempio, dall'ultimo rapporto Ispra si dimostra che in Italia le emissioni globali nel settore agricolo diminuiscono da anni.Il futuro ambientale del nostro Paese - ha esordito il Prof. Giorgio Cantelli Forti Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura - Il futuro ambientale del nostro Paese risiede anche nelle straordinarie eccellenze alimentari che vanno difese dalle contraffazioni: dobbiamo incentivare e tutelare questa indispensabile fonte economica dell'Italia che favorisce inoltre la biodiversità delle nostre produzioni agricole. L'agricoltura ha strumenti indispensabili per mantenere l'equilibrio ambientale da gas e inquinanti generati da città e attività industriali e, inoltre, è necessario dare più peso al concetto di vocazionalità dei suoli in modo da adeguare le esigenze colturali ai terreni più idonei, riducendo l'uso dei concimi chimici, ed al tempo stesso aumentare lo stoccaggio del carbonio come del resto indicato dalla nuova PAC”.

Successivamente il Prof. Riccardo Valentini, Ordinario di Ecologia forestale presso l'Università della Tuscia e membro dell'Intergovenmental Panel on Climate Change vincitore nel 2007 del Premio Nobel per Pace, ha inaugurato il 214° Anno Accademico con la Prolusione dal titolo ““Il ruolo delle foreste nel raggiungimento della Carbon Neutrality del paese”. Il tema è di stringente attualità essendo oggi alberi e foreste, secondo quanto presentato dal Prof. Valentini, l'unico strumento subito disponibile e a impatto zero per assorbire le emissioni di gas. Attualmente, ad esempio, l'industria mondiale produce l'86% di emissioni, ma di queste ben il 56% viene assorbito in maniera naturale dalle foreste (31%) e dagli oceani (20%), riducendo così le emissioni globali in modo naturale sostenibile per l'ambiente. Per fare sì che questo avvenga in maniera virtuosa l'uomo deve curare le foreste, gli alberi che ne fanno parte, aumentare dove possibile le aree boschive e soprattutto mantenerle nel tempo facendo sì che possano pienamente compiere il proprio compito. Non basta piantare degli alberi è necessario che questi vengano seguiti.

Le foreste giocanoun importante ruolo nella stabilizzazione del clima globaleassorbendo circa il 30% delle emissioni di anidride carbonica. La strategia europea per la lotta ai cambiamenti climatici - continua il Prof. Riccardo Valentini Ordinario di Ecologia Forestale Università della Tuscia prevede il raggiungimento delle emissioni nette pari a 0 (carbonneutrality) nel 2050. Il ruolo delle foreste sarà fondamentale nel catturarela co2 in eccesso per il raggiungimento di tali obiettivi. E' una grandesfida anche per il nostro paese e un'opportunità di sviluppo dei territori agricolie montaninella direzione della sostenibilità”.

La cerimonia si è conclusa con l'assegnazione della seconda edizione del “Premio Filippo Re”, quest'anno dedicato al rapporto tra agricoltura e ambiente, che ha visto vincitore lo studio di AndreaFiorini, Ricercatore alla Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore dal titolo “Combining no-till rye cover crop mitigates nitrous emission without decreasing yield” che rivela il potenziale della non lavorazione, no till, abbinata all'impiego di colture di copertura, cover crop, per aumentare il sequestro di carbonio nel suolo, mitigare le emissioni di protossido di azoto e mantenere o aumentare la resa di colture co e mais e soia, in un'ottica di adattamento dell'agricoltura e contemporanea mitigazione del cambiamento climatico.

“Per l'Accademia questo premio, intitolato al famoso agronomo bolognese e padre fondatore del nostro sodalizio, è un vero fiore all'occhiello che ci rende molto orgogliosi. La nostra mission – sostiene il Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura - è promuovere studi di valore che sviluppano i temi dell'innovazione e della ricerca scientifica in agricoltura. Un'agricoltura sostenibile, attenta alle esigenze ambientali e alla qualità degli alimenti rappresenta la sfida del futuro e, insieme ad Image Line, siamo felici di dare il nostro contributo nel promuovere lo sforzo dei giovani ricercatori che studiano in questi campi di grande importanza”.

“Il percorso intrapreso con l'Accademia Nazionale di Agricoltura continua a darci grandi soddisfazioni–affermaIvano Valmori, CEO di Image Line– e anche quest'anno abbiamo avuto modo di entrare in contatto con giovani talentuosi, desiderosi di condividere idee nuove attraverso le loro pubblicazioni. In Image Line siamo convinti che il progresso inarrestabile che sta vivendo il settore agricolo passi anche e soprattutto dalla condivisione di idee e progetti dal confronto continuo di chi opera in questo ambito. Stiamo vivendo un periodo storico in cui l'attenzione ai temi della responsabilità ambientale è sempre più alta e si guarda a un futuro ancora più green. Ciò si traduce in un'agricoltura non solo più digitalizzata e all'avanguardia, ma anche più ecosostenibile. Abbiamo bisogno di fare ancora tanto per il nostro pianeta, ma l'agricoltura 4.0 sta andando nella giusta direzione anche grazie al contributo e alle idee dei giovani. Tra questi i vincitori del Premio Filippo Re”.

Il “Premio Filippo Re – Economia, Società, Ambiente e Territorio”, nasce con l'obiettivo di promuovere una costante evoluzione del ruolo dell'agricoltura per l'economia del Paese e le interazioni di questo settore con le sue dinamiche sociali, ambientali e territoriali. Nello specifico, il premio del valore economico di5.000 euro diviso tra i tre finalisti,quest'anno è stato assegnato alla pubblicazione scientifica che, con approccio multidisciplinare, originale e consguardo d'insieme, ha meglio indagato l'impatto del settore agricolo sul sistema economico nazionale. Il premio, intitolato al famoso botanico e agronomo italiano, primo segretario dell'Accademia e uno dei suoi più illustri padri fondatori,ha cadenza annuale ed è organizzato in collaborazione tra l'Accademia Nazionale di Agricoltura e Image Line.

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LA MELA FRUTTO OTTIMO PER LA SALUTE E MOTORE DELLA PRODUZIONE AGRICOLA ITALIANA

Si è svolto in modalità online, mercoledì 29 settembre, il quinto incontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato alla pesca. I relatori dell'incontro sono stati il Dott. Roberto Piazza, Accademico Ordinario Accademia Nazionale di Agricoltura, la Prof.ssa Silvana Hrelia, Ordinario di Biochimica Università di Bologna, il Dott. Giorgio Palmeri, Delegato Bologna dei Bentivoglio Accademia Italiana della Cucina.Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola”, che si tengono una volta al mese da aprile a novembre al link https://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIO vede Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell'Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane. Di seguito quanto emerso durante l'incontro.

La produzione nazionale è di 20/23 milioni di quintali esportata in tutto il mondo

“In Italia sono le regioni settentrionali, in particolare quelle dell'arco Alpino, che producono il 70 % delle mele nazionali. In Piemonte le province di Cuneo e Torino con 80/90.000 ton. l'anno, in Lombardia la Valtellina con 40/50.000 ton, in Trentino la zona principale è la “Val di Non” con 450/500.000 ton e in Alto Adige la Val Venosta dove si producono 800/900.000 ton di mele.Seguono poi il Veneto e l'Emilia-Romagna, dove la produzione di “Fuji” è di ottima qualità e sull'Appennino si ritorna a coltivare la storica "Rosa Romana". Accanto alle varietà tradizionali – ha esordito il Dott. Roberto Piazza - i genetisti sono sempre alla ricerca di nuove varietà, per accontentare i diversi gusti dei consumatori e offrire agli agricoltori varietà sempre più resistenti alle malattie, diminuendo significativamente il numero dei trattamenti con gli agrofarmaci. Quasi la metà delle mele che produciamo in Italia, 20/23 milioni di quintali l'anno, è esportata in Europa, con a capo la Germania, in Egitto e Oriente. Nell'ultimo ventennio tutti i produttori italiano di mele hanno assimilato i concetti di salubrità, basso impatto ambientale, lotta biologica e lotta integrata, e sono al primo posto in Europa e nel mondo”.

Povera di calorie, fonte di vitamine e dal ruolo chemio protettivo “Numerosi sono i potenziali effetti benefici per la salute delle mele. Il consumo regolare di questo frutto come parte di una dieta equilibrata concorre sicuramente alla prevenzione delle patologie cronico-degenerative e alla protezione della salute. La mela – ha proseguito la Prof.ssa Silvana Hrelia - è povera di calorie, ed è composta principalmente da carboidrati e acqua. Anche se il frutto è ricco di zuccheri semplici (come il fruttosio, il saccarosio, e il glucosio) presenta un indice glicemico basso e questo è sicuramente dovuto al buon contenuto di fibre. E' anche una buona fonte di vitamine e sali minerali. Ma il vero patrimonio salutistico delle mele risiede nella loro particolare ricchezza di componenti “nutraceutici”. La mela contiene un'ampia varietà di componenti nutraceutici, tra cui l'acido idrossicinnamico, la floretina, le antocianine e soprattutto la quercetina. Quest'ultima molecola, presenta un'elevatissima attività antiossidante ed è stata ampiamente studiata per quanto riguarda il suo ruolo chemiopreventivo, vale a dire la sua capacità di inibire l'insorgenza o ritardare la progressione di un tumore, cardioprotettivo e neuroprotettivo. Sono molti i fattori che possono influenzare il contenuto in nutraceutici delle mele, tra cui il grado di maturazione, lo stoccaggio e il cultivar. I cultivar antichi possiedono attività antiossidante superiore ai cultivar moderni, per cui la riscoperta e valorizzazione dei vecchi cultivar risponde pienamente alle richieste di salute da parte dei consumatori”.

La mela e i dolci, un connubio perfetto

“In cucina la diffusione della mela in epoca antica non ha avuto un particolare rilievo e solo dall'epoca rinascimentale e dall'età barocca l'utilizzo di talune specie di mele hanno trovato ampia diffusione. Fu con l'avvento della cucina borghese alla fine dell'800 – ha proseguito il Dott. Giorgio Palmeri, e quindi con una caratterizzazione delle preparazioni del territorio, che si ampliò la gamma delle proposte utilizzando le consuetudini che le cucine regionali offrivano, laddove la coltura della mela era più sviluppata. A partire da Pellegrino Artusi, con la sua opera “La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, iniziarono proposte sull'utilizzo delle mele in cucina come le “mele all'inglese”, le “frittelle di mela” e le “mele in gelatina”, tutte composizioni destinate ai desserts. L'affermazione di una cucina più legata al territorio ha quindi consentito, anche attraverso l'estro di molti cuochi e sulla scia delle tradizioni regionali, di affrontare proposte innovative in cucina con l'utilizzo delle mele, nelle proprie specie più diffuse. Anche fra i primi piatti non mancano i “risotti con mele renette”, il “risotto alla mela verde con zenzero o buccia di limone, i “knodel con le mele” a base di mele, uova, farina, burro, zucchero e pangrattato, la “polenta con le mele” con l'utilizzo di mele valdostane cotte in acqua, vino, zucchero, cannella e chiodi di garofano, le “pappardelle con le mele limoncelle” cucinate con olio, aglio, guanciale e amido di riso. Più variegate rimangono però le proposte sui dolci come “lo strudel”, “la sfogliata di mele”, frittelle, torte, crostate, conserve e gelatine, molto comuni a varie regioni italiane”.In allegato sono disponibili i materiali dei relatori mentre la registrazione dell'incontro è visibile al link:https://bit.ly/3A1DvQs

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LA PESCA OTTIMA PER I BAMBINI MA ATTENZIONE ALLE INTOLLERANZE

Si è svolto in modalità online al link, mercoledì 15 settembre, il quarto incontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato alla pesca. I relatori dell'incontro sono stati il Prof. Daniele Bassi, Ordinario di Coltivazioni Arboree Università di Milano, la Dott.ssa Luciana Prete, Direttore UOC Igiene Alimenti e Nutrizione Ovest Azienda USL Bologna, il Dott. Giorgio Palmeri, Delegato Bologna dei Bentivoglio Accademia Italiana della Cucina. Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola”, che si tengono una volta al mese da aprile a novembre al link https://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIO, vede Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell'Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane. Di seguito quanto emerso durante l'incontro.

Dal Tibet alla conquista del mondo La storia del pesco è un intreccio di memorie e leggende che affonda le sue origini negli altopiani del Tibet, dove si diffonde, e poi in Cina. Ne sono testimonianza i noccioli risalenti al Neolitico (6000 A.C.) rinvenuti nei villaggi Hemudu sulle rive dello Yangtze. Il suo arrivo in Europa – esordisce il Prof. Daniele Bassi - è avvolto nel mistero, probabilmente dall'antenata dalla ‘Via della seta' ma l'introduzione del pesco è probabile sia avvenuta prima nel mondo greco e poi nell'Impero romano intorno al I secolo A.C. Nel Rinascimento viene esportato nel Nuovo Mondo dai colonizzatori ispanici, ma l'epoca d'oro del pesco inizia con la ‘Febbre dell'Oro' a metà dell'800, con l'arrivo nel piccolo stato americano del Delaware della ‘Chinese Cling', una pesca cinese a polpa bianca con buccia marezzata di rosso che incontrò subito il gusto della popolazione. Nel primo ‘900 una moltitudine di discendenti della ‘Chinese Cling' e delle antiche pesche ispaniche iniziano a diffondersi in America ed Europa. Nel secondo dopoguerra, le varietà americane invaderanno poi i mercati del resto del mondo”.

Leggere e dissetanti, ma attenzione a nocciolo e allergie “Le pesche sono frutti poco calorici e quindi molto indicate nei regimi alimentari estivi. La loro polpa, ricca di succo, è particolarmente dissetante e diuretica e buone sono anche le proprietà nutritive ed energetiche. La pectina – ha proseguito la Dott.ssa Luciana Prete - presente nelle pesche è molto importante per la regolazione dei livelli di glucosio e colesterolo nel sangue e, inoltre, sono presenti zuccheri facilmente assimilabili e molti acidi organici che, oltre a conferire loro il particolare sapore, aumentano la riserva alcalina necessaria a regolare l'equilibrio acido-basico dell'organismo. La pesca contiene molto potassio, pochissimo sodio e buone quantità di carotenoidi, che nell'organismo si trasformano in vitamina A (o beta-carotene). Contengono circa 30 kcal ogni 100 grammi di alimento fresco, si digeriscono facilmente per cui il loro consumo è indicato a chi soffre di cattiva digestione, alle donne in gravidanza e ai bambini. Per beneficiare delle proprietà delle pesche, meglio consumarle fresche e conservarle in frigo per non più di 3-4 giorni; ottimo spuntino sono adatte per preparare crostate, marmellate, succhi e centrifughe ma vengono anche sciroppate e usate per la preparazione di liquori. Non bisogna dimenticare, però, che alcuni sono allergici alle pesche per cui devono evitarle e che il nocciolo è tossico in quanto contiene amigdalina, una sostanza che a contatto con gli enzimi della flora batterica si rivela nociva”.

La pesca in cucina: un esempio di armonia gustativa “Un primo riferimento ci viene tramandato dal ricettario di Marco Gavio Apicio, il più grande gastronomo della Roma Imperiale del I secolo, che nella monumentale opera “De re coquinaria” cita una modalità di conservazione del frutto ottenuta mediante una preliminare bollitura e posta poi in salamoia in un vaso con sale, aceto e santoreggia per lungo tempo prima di poterlo utilizzare. Bartolomeo Scappi – conclude il Dott. Giorgio Palmeri - nella sua monumentale “Opera dell'arte di cucinare” del 1570 descrive una ricetta “Per far torte di pesche” con cottura in forno o alla brace e utilizzo di burro, zucchero, cannella all'interno di un preparato di pasta frolla e successivamente cotta di nuovo al forno. Con l'edizione della “Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene”, avvenuta nel 1891 per opera di Pellegrino Artusi, vengono proposte le “pesche nello spirito”; una preparazione che assolve due finalità: la conservazione nel tempo ed una preparazione che può concludere un pranzo. Dall' Ottocento, periodo dal quale la coltivazione del pesco in Italia prende corpo, l'utilizzo del frutto in cucina si mantiene coerente con le pratiche gastronomiche dei secoli precedenti, andando ad alimentare essenzialmente le preparazioni di dessert, gelati, sorbetti, composte e conserve, influenzate dalle tradizioni regionali dove le colture si sono sviluppate. Ancora oggi troviamo presenti nelle proposte gastronomiche italiane le “Pesche ripiene”, ottenute con cottura al forno di pesche gialle farcite con un ripieno di parte della polpa, amaretti, cacao in polvere, zucchero, uova ed una noce di burro, le “Pesche scaligere” nel cui ripieno vengono aggiunti miele e grappa, così come le “Pesche Chantilliy” con un ripieno caratterizzato da ananas, gelato di vaniglia, maraschino, kirsch e panna montata. Infine, di attualità, sono i cocktail a base di polpa di pesca frullata e vino spumante, il “Bellini” e la “Sangria di pesche” con vino rosato, succo d'arancia, lime e cannella”.

Diseguito sono disponibili i contributi dei relatori e al linkhttps://www.youtube.com/watch?v=2r4r-4PyQTo&t=213sdel canale Youtube dell'Accademia il video dell'incontro.

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LA CORONA DI MATILDE IL PRIMO PAESAGGIO STORICO-RURALE DELL'APPENNINO BOLOGNESE

Lunedì 6 settembre presso il Circolo della Caccia di Bologna è stata presentata in conferenza stampa dall'Accademia Nazionale di Agricoltura, in accordo con il Comune di Alto Reno Terme e l'Associazione Castanicoltori Alta Valle del Reno,la conclusione dell'iter di selezione che ne ha certificato i criteri di ammissibilità, la “Corona di Matilde – Alto Reno terra di Castagni” è stata inserita ufficialmente nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici, approvato con decreto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. L'area viene, dunque, catalogata tra i paesaggi rurali tradizionali di interesse storico, pratiche e conoscenze tradizionali correlate tenendo conto sia di valutazioni scientifiche, sia dei valori che sono attribuiti dalle comunità, dai soggetti e dalle popolazioni interessate. Il grande valore di questo paesaggio e del suo territorio è stato ritenuto dal MIPAAF valevole del massimo punteggio nei criteri di selezione che tengono presente le caratteristiche di storicità associate alla permanenza di pratiche tradizionali che li determinano, impiegando i concetti di “significatività”, “integrità” e “vulnerabilità” che uniscono sia la bellezza del territorio alla combinazione di biodiversità agricola, ecosistemi resilienti e prezioso patrimonio culturale da tutelare. Tutti questi fattori sono stati riscontrati nel territorio de la “Corona di Matilde-Alto Reno terra di Castagni” grazie al lungo e complesso lavoro comune degli enti che hanno presentato la domanda, ottenendo il massimo punteggio finale. La Città Metropolitana di Bologna, grazie a questo riconoscimento, ottiene il suo primo paesaggio tutelato, pertanto l'intenzione dell'Accademia Nazionale di Agricoltura, del Comune di Alto Reno Terme e dell'Associazione Castanicoltori Alta Valle del Reno è di proseguire nel percorso di candidatura insieme al MIPAAF per iscrivere la “Corona di Matilde-Alto Reno terra di Castagni” all'interno del programma internazionale FAO “Globally Important Agricoltural Heritage Systems”; il programma, sottoscritto nel 2016 da FAO e MIPAAF, ha lo scopo di tutelare e salvaguardare quei sistemi agricoli di importanza globale presenti in un determinato luogo da lungo tempo, anche secoli, che risultano stabilizzati mediante una significativa armonia integrata tra aspetti produttivi, ambientali e culturali. E' opportuno precisare che dal 2005 la FAO ha designato, in tutto il mondo, 62 sistemi in 22 paesi come sito del patrimonio agricolo e solo 2 in Italia “Gli uliveti delle pendici tra Assisi e Spoleto” e “I vigneti tradizionali del Soave”. La “Corona di Matilde – Alto Reno terra di Castagni” potrebbe aspirare così a diventare il terzo in Italia.

“L'Accademia Nazionale di Agricoltura da qualche tempo ha perseguito tra le proprie mission gli obiettivi portanti del progetto “Appennino” sostenuto alla fine degli anni '90 dal Prof. Umberto Bagnaresi e condiviso, tra le grandi personalità bolognesi, dal Senatore Giovanni Bersani e dall'Accademico Prof. Giorgio Stupazzoni. La valorizzazione dell'Appennino bolognese è oggi nuovamente un tema di estrema importanza per la tutela dell'ambiente, la conservazione del territorio e per i numerosi aspetti socio-economici e innovativi connessi. L'impegno è ed è stato rilevante sull'obiettivo conseguito e su altri in corso d'opera che stanno a cuore all'Accademia - ha esordito il Prof. Giorgio Cantelli Forti Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura – e desidero ricordare che è partito dalla tutela dello storico castagneto di Granaglione, di proprietà della Fondazione Carisbo. Infatti, il castagneto didattico-scientifico di Granaglione è da anni seguito dall'Accademia per l'attività scientifica come patrimonio ambientale di biodiversità. Con grande soddisfazione oggi posso informarvi ufficialmente di questo primo importante riconoscimento che certifica non solo l'eccellenza paesaggistica di un'area, ma anche l'alto livello storico e culturale delle nostre montagne. Consideriamo questo riconoscimento come prima importante novità per il nostro territorio che di seguito potrà esprimere ancora di più tutte le sue potenzialità per avviare quella transizione ecologica oggi sempre più necessaria”.

“A distanza di circa un millennio dalla sua diffusione, la castanicoltura rimane fortemente radicata nella nostra comunità, e negli ultimi decenni ha preso nuovo impulso, come dimostra questo documento. Il punto di partenza è la biodiversità del nostro patrimonio ambientale, nel contesto di un territorio ricco di evidenze ecologiche di pregio. E non mi riferisco solo alla flora ma, ad esempio, alle qualità organolettiche delle nostre acque sorgive, per non parlare poi delle acque termali, riconosciute di assoluta eccellenza dallo stesso Ministero della Salute. Nella mia lunga esperienza di Amministratore – ha proseguito il Dott. Giuseppe Nanni Sindaco di Alto Reno Terme - ho sempre lavorato per valorizzare la castanicoltura, scontando anche un certo scetticismo iniziale. Il birrificio Beltaine, nato con la birra alla castagna, e il Parco Didattico del Castagno, sono due esempi di come questa attività stia trovando nuove strade per il proprio sviluppo. Per quanto concerne la Corona Matildica, con l'inserimento nel Registro Nazionale dei paesaggi rurali storici, il nostro territorio, oltre ad acquisire un grande valore storico-testimoniale, potrà divenire un efficace volano per la promozione turistica del nostro Comune, legata alle tradizioni locali, alla enogastronomia e alla scoperta di un territorio di grande pregio ambientale”.

L'associazione che rappresento - ha continuato Domenico Medici Presidente Associazione Castanicoltori dell'Alta Valle del Reno - è particolarmente attenta alla conservazione delle tradizioni, delle strutture e dei luoghi. La ricerca svolta, per il territorio della Corona di Matilde ha evidenziato, ancora una volta, la specularità dei metodi di essiccazione delle castagne di oggi con i tempi passati. L'utilizzo delle antiche varietà castanili degli impianti matildici ancora produttivi, ci ha permesso di raggiungere traguardi di prestigio a livello Nazionale, confermando la bontà e la lungimiranza delle scelte della Nobildonna”.

“L'applicazione della metodologia VASA (Valutazione Storico Ambientale) richiesta dal MIPAAF per calcolare il livello di conservazione dei paesaggi rurali di interesse storico - ha concluso il Prof. Gilmo Vianello Vice Presidente Accademia Nazionale di Agricoltura -, ha evidenziato, nel caso della “Corona di Matilde”, una permanenza straordinaria delle tipologie edilizie, e delle formazioni castanicole ad esse connesse, superiore all'80% del territorio indagato, desumibile dal confronto tra le mappe ed i brogliardi del Catasto Gregoriano di inizio secolo XIX e la situazione attuale”.

La “Corona di Matilde – Alto Reno terra di Castagni” circoscrive un territorio di 2543 ettari collocato nell'Alta valle del Reno a sud-ovest della città di Bologna, al confine tra Emilia-Romagna e Toscana, in cui l'insediamento umano e della castanicoltura ad esso strettamente correlata sono andati sviluppandosi da più di un millennio giungendo sino a noi con segni tangibili e spesso immutati. In tali luoghi, facenti parte del Comune di Alto Reno Terme, emergono gli antichi borghi di Castelluccio, Capugnano, Borgo Capanne, Lustrola, Granaglione e Boschi di Granaglione, che conservano ancora l'esatto impianto urbanistico e le tipologie insediative e religiose del passato. Ognuno di questi borghi è circondato da selve castanili, molte delle quali coltivate a frutto, altre ancora gestite a legno, e da superfici a seminativo e prative. L'insieme disegna una fascia di territorio continua compresa tra i 600 e i 1200 metri d'altitudine che avvolge a semicerchio (da qui la denominazione di “corona”) anche la parte interna e morfologicamente più aspra che sale oltre i 1400 metri, per poco o nulla insediata, coperta da boschi prevalentemente di faggi. In questi luoghi il castagno si è diffuso nel periodo feudale, sotto il governo di Matilde di Canossa (1046-1115), tanto da spingere le popolazioni locali a disboscare ampie superfici per lasciare spazio a nuove corti, ai campi agricoli limitrofi ed agli impianti coltivati dei castagneti da frutto, noti come “castagneti matildici”. La castanicoltura per secoli è stata il centro vitale della popolazione di questi luoghi, dando il via alla “Civiltà del Castagno”, che fondava la propria sussistenza su questo frutto prezioso. A distanza di 900 anni tale impronta rimane fortemente radicata nella comunità delle donne e degli uomini che vivono in questi luoghi con l'orgoglio di avere preservato un patrimonio culturale che oltre ad essere conservato, va soprattutto valorizzato. In Emilia-Romagna, attualmente, i Paesaggi Rurali Storici inseriti nel Registro del MIPAAF sono il Comprensorio di Bonifica Valli Le Partite, le Partecipanze Centopievesi, la Tenuta della Diamantina, la Pineta di San Vitale e gli Oliveti della Valle del Lamone. La “Corona di Matilde-Alto Reno terra di Castagni” si aggiunge a questi diventando il primo della Città Metropolitana di Bologna.

Questo importante riconoscimento nazionale aggiunge un tassello fondamentale all'opera di valorizzazione del nostro territorio montano e dei suoi prodotti della castagna che l'Accademia Nazionale di Agricoltura sta portando avanti, in questi anni, presso il Parco Didattico Sperimentale del Castagno di Granaglione (località inserita all'interno della “Corona di Matilde - Alto Reno terra di Castagni) di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, curando la supervisione scientifica anche dell'innovativo progetto degli alberi parlanti detto “TreeTalker”. Il progetto vede l'utilizzo di sofisticati rilevatori a sensori, posti su 48 castagni, che giornalmente forniscono dati sulla crescita dell'albero, l'acqua prelevata, la CO2 assorbita, il colore delle foglie fornendo importanti dati scientifici sullo stato di salute delle piante e le condizioni ambientali della zona (maggiori informazioni sul sito www.castagniparlanti.it). Tutto questo è testimone dell'ampio progetto di valorizzazione ambientale, culturale e turistica del territorio di Alto Reno Terme, progetto che intende portare l'area verso la fondamentale transizione ecologica richiesta dai tempi mediante attività di turismo slow, wellness e beauty, eventi culturali nei borghi, valorizzazione della filiera produttiva del castagno (dalla raccolta, ai prodotti enogastronomici fino alla lavorazione del legno), passeggiate tra i monti, visite ai castagneti secolari, produzione di alimenti salutistici dai prodotti del bosco e molto altro. Grazie all'importante riconoscimento nazionale la “Corona di Matilde – Alto Reno terra di Castagni” ha le potenzialità di diventare il nuovo centro propulsivo di attività culturali e scientifiche per tutto l'Appennino bolognese e regionale.

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CHIUSURA DEGLI UFFICI PER LE FERIE ESTIVE

Si comunica che gli uffici dell'Accademia Nazionale di Agricoltura rimarranno chiusi per le ferie estive dal 2 al 27 agosto compreso. La riapertura è prevista lunedì 30 agosto.Auguriamo a tutti voi buone vacanze.
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NOTIZIE DELLE CAMPAGNE NEL CIRCONDARIO DI BOLOGNA

"Notizie delle campagne nel Circondario di Bologna concernenti l'anno 1869"opuscolo B.26/2 del nostro Fondo Antico (per leggere il testo intero cliccare qui) offre una descrizione precisa e puntuale sulla situazione della campagna bolognese redatta dall'ingnener Luigi Franceschini che la pubblicò sul "Giornale d'Agricoltura del Regno d'Italia". Nato da pochi anni, lo Stato italiano iniziava così una campagana di mappatura e conoscenza dei suoi territori, promuovendo studi e ricerche scientifiche sulla società e le economie agricole locali, che risultavano però ancora troppo difficoltose date le scarse notizie che le Deputazioni Sezionali inviavano alle Regie Prefetture e al Ministero. La prima fase embrionale delle ricerche scientifiche e statistiche era, dunque, in fase di sviluppo e pubblicazioni come quella in oggetto risultavano un importante strumento di conoscenza e assimilazione di dati per lo Stato centrale, bisognoso di informazioni certe sullo stato dell'arte dei propri territori. Ai lettori di oggi, invece,lo studio ofrre una inedita istantanea strorica sulla situazione di un territorio, quello della Provincia di Bolognache all'epoca contava già 429.923 abitanti, una buona parte dei quali viveva di agricoltura favorendo lo sviluppo del territorio del contado fuori città. Un territorio ricco, ma con problemi già denotati all'epoca legati al dissesto idrogeologico, alla conformazione dei fiumi e anche a particolari condizioni meteorologiche che si ravvisano ancora oggi. Lo scritto infatti inizia descrivendo i danni portati da puogge improvvise fuori stagione:

"La grandineprodusse guasti nei territori di Molinella e di Budrio, e nel dì 14 giugno più rimarcati si constatarono nei contorni di Persiceto, Martignone, Zenerigolo, Calderara, Longara e Sala in cui si distrusse due terzi del grano e quasi totalmente la canapa. Laonde s'invoca da secoli un rimedio radicale nella sistemazione dei nostrei fiumi per ottenere ancora quella degli scoli consorziali [...] è necessario garantire le popolazioni le più laboriose ed i proprietari dai pericoli d'innondazioni di cui sono vieppiù minacciati, essendo costretti di dispendiarsi in colture fatte all'azzardo nei terreni più fertili".

A questo si aggiungeva la difficile situazione stradale nelle campagne che non permetteva lo sviluppo del territorio e della sua economia agricola e una soluione veniva data proprio dall'autore dello studio:

"E' troppo noto che il progresso dell'agricoltura dipende in gran parte dalla facilità delle comunicazioni. La percorrenza nelle strade tutte di pianura è possibile nelle stragioni asciutte; riesce però cattiva e molesta in tutte nell'Inverno: varie sono le cagioni, ma la più potente è la qualità della ghiaia e lo stato in cui trovansi sovente depositate sulle strade [...] A quest'effetto basta sostituire il sasso pesto bene scelto alle tristi e minute ghiaie dell'Idice e del Reno, le quali a cagione della loro forma non sono atte a consolidarsi e reggere lo sforzo dei pesanti carichi, producendo mlto fango in inverno e molta polvere in estate'".

I campi invece erano ben tenuti e coltivati nonostante in alcune aree si riscontrassero casi di malattie infettive:

"Le sistemazioni dei campi in generale può dirsi che sieno in progresso, e così gli impianti di nuove vigne, di novelli boschi di acacie per uso di pali onde sorreggere le viti [...] Le condiioni igieniche sono soddisfacenti, allorchè si faccia astrazione da alcune plaghe li quei territori in cui predomina la coltivazione del riso, ove si verificano casi di febbri periodiche, e d'alcune altre al monte ove si riscontrano casi di pellagra e di gozzo. Pertanto le condizioni economiche possonsi dire discrete tanto nella pianura, quanto nella media parte montana".

Nello studio gli allevamenti bovini vedevano un buono stato di salute e una costante crescita nel numero,114.311 capi,cheperòiniziavano a portare i primi problemi legati all'eccessivo disboscamento per la creazione di pascoli,con la diminuzione di macchie ad alto fusto e dei loro frutti (castagne, marroni, ghiande) utili alla alimentazione umana e animale. Lo stesso, al contrario, non si poteva dire per il pollame, considerato tutto di razza autoctona, che forniva un fondamentale strumento di nutrizione per i contadini e le loro famiglie. In fase ancora iniziale, ma comunque presente, era l'uso delle trebbiatrici a vapore, mentre la secolare produzione della seta interessvaa ancora larga parte del contado. Una nota interessante, infine, è posta alla presenza delle api e alla produzione di cera e miele:

"Rari sono i coloni che mancano affatto di api, e può dirsi, che in ogni colonia si numerano da tre a sei alveari, fra cui ve ne sono pure dei vuoti. Le api sono trattate all'uso antico, che è la negazione della sollecita loro propagazione. In Lombardia in cui questo ramo è meglio curato gli apicultori nella morta stagione trasportano gli alveari in barche lungo il Po verso la marina per procurare loro il necessario nutrimento; il chè non è da suggerirsi tra noi. [...] Del resto i controni delle città, castelli, sobborghi e ville di cui non manca la Provincia, sono forniti di orti, giardini e prati artificiali che somministreranno ampio pascolo alle api".

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IL LUNGO VIAGGIO DEL POMODORO: DAI MAYA ALLA COLTIVAZIONE SATELLITARE

Si è svolto in modalità online al link, mercoledì 16giugno, il terzoincontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato a latte, latticini e formaggi. I relatori dell'incontro sono statiil Dott. Riccardo Vertuani, Presidente Confagricoltura Ferrara, la Prof.ssaCecilia Prata, Docente di Biochimica Applicata e Biochimica della Nutrizione Università di Bologna,il Dott. Giorgio Pameri, Delegato di Bologna dei Bentivoglio A.I.C. e Simone Gatto, Imprenditore agricolo.Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell'Archiginnasio. L'Odissea del cibo dal campo alla tavola”, che si tengono una volta al mese da aprile a novembre al linkhttps://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIO, vede Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell'Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane. Di seguito quanto emerso durante l'incontro.

I numeri della produzione di pomodoro “Attualmente il pomodoro, insieme alla patata, è la specie orticola più coltivata al mondo con circa 4,6 milioni di ettari – ha esordito il Dott. Gianluca Vertuani - e Cina, Turchia, Stati Uniti hanno da tempo acquisito il primato nella produzione a scapito di Spagna e Italia. Nel nord Italia si coltivano circa 39.000 ettari di pomodoro e 100 milioni di tonnellate trovano destinazione nella produzione industriale (passati, concentrati, polveri, polpa, succhi, ecc...). Dal punto di vista climatico servono temperature fra i 22-26 gradi di giorno e 13-14 di notte; sopra i 35 gradi il pomodoro tende a bloccarsi. La coltura del pomodoro si presenta alquanto complessa nella gestione fitosanitaria per le numerose e variabili avversità parassitarie che la interessano e molti sono i fattori che hanno appesantito la pressione parassitaria e verso i quali sono diminuiti in maniera drastica i mezzi di difesa. L'ultimo rapporto ISTAT (2016) evidenzia come ben il 70,3% delle miscele di prodotti usati rientra nella categoria dei prodotti «non classificabili», quindi con minor rischio, i prodotti classificati come «nocivi» sono il 25,7%, ammessi e regolarmente classificati, mentre solo il 4% come «molto tossici», comunque ammessi e regolamentati”.

I benefici salutistici “Il pomodoro è un frutto della terra coltivato e consumato in tutto il mondo. E' caratterizzato da un basso potere calorico e da un basso indice glicemico – ha continuato la Prof.ssa Cecilia Prata - , ciononostante è ricco di importanti nutrienti e nutraceutici, alcuni dei quali hanno dimostrato esercitare attività preventiva nei confronti di patologie cronico degenerative. In particolare, la molecola bioattiva tipica del pomodoro è il licopene, che a differenza delle vitamine aumenta la propria biodisponibilità in seguito a cottura.”

Dai Maya alla salsa di pomodoro “Originario del Sud America furono i Maja i primi ad iniziare la coltivazione, seguiti dagli Aztechi che la produssero nelle regioni del Sud del Messico. Il pomodoro giunse in Europa nel 1540 grazie a Cortès e in Italia fece la sua comparsa nel 1596 inizialmente come pianta ornamentale e poi da coltivazione, ma solo alla fine del ‘700 prese grande impulso la sua coltivazione in Francia e nell'Italia meridionale anche per effetto delle carestie esistenti. Per trovare la prima codificazione dell'utilizzo del sugo di pomodoro – ha sottolineato il Dott. Giorgio Palmeri - si deve far riferimento a Ippolito Cavalcanti, ritenuto il padre della gastronomia napoletana il quale, nell'opera “Cucina teorica pratica” edita nel 1839, indicava dettagliatamente la preparazione dei “Vermicelli incaciati al sugo di pomodoro” facendo così nascere ufficialmente la “salsa”. Basti pensare all'impiego della salsa di pomodoro nella preparazione dei sughi a base di carne come il ragù, sia quello divenuto il più famoso “alla bolognese”, e nondimeno quello “alla napoletana” e “alla pugliese”, senza considerare l'utilizzo della salsa impiegata nel piatto simbolo della italianità: la pizza. Giova segnalare che l'utilizzo del pomodoro fu altresì incentivato dalle tecniche di conservazione che nel 1762 vennero definite in seguito agli studi di Lazzaro Spallanzani, che per primo notò come gli estratti di pomodoro fatti bollire e posti in contenitori ermeticamente chiusi non si alterassero, e fu poi nel XX secolo che lo sviluppo della produzione industriale per la trasformazione dei prodotti agricoli consentì una vasta diffusione in tutto il territorio nazionale”.

Il pomodoro controllato dal drone e coltivato dai software “Le nuove tecnologie per l'agricoltura di precisone permettono la coltivazione del pomodoro da industria migliorando le produzioni dal punto di vista quantitativo e qualitativo, aumentando l'efficienza di fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e consentendo la massima rintracciabilità di tutte le fasi operative per una maggior sostenibilità ambientale. Nella nostra azienda – ha concluso Simone Gatto - si utilizzano tecnologie a dosaggio variabile degli input produttivi per le operazioni colturali (semina, concimazione, trattamenti fitosanitari) e lo studio della variabilità presente nei nostri appezzamenti avviene mediante software per l'analisi dei dati raccolti, delle mappe dei suoli, della produzione e l'elaborazione delle mappe di prescrizione della dose variabile. Un software gestionale permette la rintracciabilità di tutte le operazioni colturali di precisione eseguite con un alta accuratezza dei dati fornendoci così la possibilità di avere modelli previsionali per le malattie e di guida alle concimazioni per quanto riguarda il mais, il grano e il pomodoro. Inoltre possediamo una ventina di centraline meteo e sonde per la raccolta dei dati atmosferici e pedoclimatici in particolare per conoscere le condizioni di umidità e gli stress idrici degli appezzamenti in tempo reale. Per un costante monitoraggio del ciclo vegetativo del pomodoro, infine, l'azienda utilizza diversi sistemi satellitari e due droni di proprietà che monitoranolo stato nutrizionale e idrico della coltura”.

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SI RINSALDA LA COLLABORAZIONE TRA ACCADEMIA E ARMA DEI CARABINIERI

Nel pomeriggio di martedì 15 giugnoil Generale di Divisione Antonio Pietro Marzo, nuovo Comandante del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari Carabinieri (CUFAA), durante il suo viaggio istituzionale in regione che lo ha visto protagonista della visitaaiReparti della specialità di Bologna, alReparto Carabinieri Tutela Agroalimentare di Parma e di un incontro con il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, è stato ospitato presso la sede dell'Accademia Nazionale di Agricoltura per un vertice con le massime cariche accademiche. Il Generale di Divisione Antonio Pietro Marzo, accompagnato dalComandante della Regione Generale di Brigata Fabrizio Mari e dal Generale di Brigata Davide Angrisani Comandante della Legione Carabinieri Emilia-Romagna, ha così incontrato il Prof. Giorgio Cantelli Forti, Presidente dell'Accademia Nazionale di Agricoltura, il Vice Presidente Prof.Gilmo Vianello, il Tesoriere Dott. Ercole Borasio e il Consigliere Dott. Alberto Mario Levi.

L'incontro, che ha rinsaldatoil legametra Arma dei Carabinieri eAccademia Nazionale di Agricoltura, è servito non solo per discutere sulle tematiche e gli ambiti di collaborazione che sono alla base del Protocollo d'Intesa con l'Arma dei Carabinieri rinnovato di recente, ma anche perconfrontarsi sui temi paesaggistici, di tutela del patrimonio forestale, promozione delle aree boschive e agricole che vedono l'Accademia Nazionale di Agricoltura in campo con numerosi progetti in fase di realizzazione.

Gli ospiti sono stati infine omaggiati della storica medaglia commemorativa accademica riservata alle personalità eccellenti in visita. Nella speranza di continuarela proficua collaborazione con l'Arma dei Carabinieri l'intero corpo accademico si impegna a proseguirne gli indirizzinel solco della comune azione stipulata dal Protocollo di collaborazione tra le parti.

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