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10 Giugno 2021

LA COLTIVAZIONE DELLA VITE NEI TERRENI ARENOSI

La coltivazione della viteha origini millenarie e la trasformazione dei suoi frutti ha portato, nei secoli, alla nascita di numerosi prodotti enologici oggi considerati eccellenze enogastronimche mondiali. Negli ultimi decenni la produzione vinicola si è espansa anche in aree geografiche che non si credeva fossero adatte alla coltivazione, non solo peri cambiamenti climatici che favoriscono climi più miti a latitudinipiù settentrionali, ma anche agli sviluppi delle pratiche agronomiche e degli strumenti di coltivazioni più attuali e innovativi. Per una buona resa della vite tutto dipende dalle condizioni climatiche e dalla tipologia di suolo e, già nel1845, gli studi di agronomia più avanzaticervano di comprendere lapossibilità di coltivarla anche in zone fino a quel momento impensabili.Nel testo"Sulla coltivazione della vite nei terreni arenosi dei litorali"opuscolo numero 10/3del nostro Fondo Antico (per leggere il testo intero cliccare qui) Domenico Rizzi forniva tutte le informazioni scientifiche adeguate per creare unapiantagione di vite nelle aree marittime; zone all'epoca estremamente povere e bisognose di rilancio.Il testo, di grande valore tecnico e minuzioso studio, non può essere riassunto nei suoi termini specifici in queste righe, ma il suo ampio valore di aiuto alla comunità si legge già nelle prime righe:

"I terreni sabbiosi sarebbero in varie forme produttivi, e nella qual'opera s'impiegherebbero migliaja di persone che gemono nella mendicità. La vegetazione nei lidi è più precoce di quella nei monti, e quindi alcune piante (oltre quelle che a cibo dell'uomo si coltivano dagli abitanti dei litorali con grande profitto) che allignano nelle sabbie possono dare un sollecito risultato come lo provani i pini, le quercie, le tuje, i pioppi, le viti, gli olmi, i mori, le altee, le acacie ec.".

Successivamente nel Capo II intitolato "Del vivajo delle viti" sono elencati tutti i pasaggi necessari alla messa in opera della piantagione e la stagione migliore per iniziare il lavoro:

"L'estensione del vivajo dev'essere proporzionata alla piantagione che se ne vuol fare, calcolando di formare i filari delle viti ventiquattro piedi (met. 8.60) discosti l'uno dall'altro, e di metter le viti nei filari stessi a quattro piedi di distanza; e calcolando inoltre, che dei magliuoli del vivajo un dieci per cento non vivranno. La stagione di piantare il vivajo è quwlla stessa in cui si potano le viti, cioè del cader delle foglie. [...] Piantatao che sia il vivajo, la sola avvertenza che si deve avere nella proimavera e nell'estate susseguente si è di tenerlo sempre mondo dall'erbe o colla zappa o colle mani".

La sola messa in opera di una piantagione è un lavoro lungo e complesso che, come ben si conosce, necessita di un lungo periodoper avere i primi frutti. Domenico Rizzo, per i terreni arenosi e sabbiosi, indica in almeno quattro anni il tempo necessario qualora la potatura e la formazione delle spalliere fosse stata ben fatta. Nel testo infatti al Capo V ricorda i metodi da non usareper non fare errori:

"Nel caso nostro sono da escludere alcuni; siccome quelli di farle vagare sugli alberi d'alto fusto o da cima, sena potare nè gli uni nè le latre; di piantarle a pien campo a piccole distanze, e di affidarl ad un solo paletto o frasca; di accoppiarle agli alberi forti, alzati più o mneo alti da terra, sui branchi dei quali fissando i loro tralci, e questi unendo a guisa di festoni, o lasciandoveli penzolone".

Infine tra le numerose raccomandazioni e i dettami da seguire lo studio si conclude con un consiglio, sempre valido anche oggi, e che travalica i secoli nella sua semplice verità:

"Usate dalcoltivatore diligente le avvertenze fin qui suggerite, tanto verso il terreno quanto verso le viti, tardissima giungerà la decrepitezza di queste, e copiosissima e costante sarà la raccolta dell'uva".

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